Recital poetico

(Poesie di Dante Alighieri, Aleksander Blok, Guido Cavalcanti, Christine de Pisan, Christine Rossetti, Elizabeth Browning, Arthur Rimbaud, Giovanni Pascoli tradotte e recitate in dialetto siciliano. Con l’aggiunta di alcuni passi dal “Cyrano di Bergerac” di Rostand, da “La pelle di zigrino” di Balzac, da “Eugene Onegin” di Puskin, sempre in dialetto siciliano).

Personaggi:
- Peppininu;
- Carmiluzzu; (1)
- Orlando;
- Rinaldo;
- Angelica;
- Alda;
- Clarice;
- Carmela Pagghiazzu (moglie di Peppininu);
- Una fanciulla;
- Il soldato Calonda;
- Un amico di Peppininu;
- Una giornalista televisiva.

PRIMO ATTO


Apertura sipario. Scena prima.
Fondale: una biblioteca piena di scaffali e libri.
Peppininu è al centro del palcoscenico. Ha davanti un leggio.

Peppininu:
Se l’amore è la cosa più bella al mondo, perché non ci sono recital di poesie su questo argomento?
Ne voglio fare uno, speciale, con poesie tradotte in dialetto siciliano. Un recital di poesie scelte tra le più belle. Erato, figlia di Giove e Mnemosine, musa della poesia amorosa, spero non si dimentichi di me. E’ sempre stata raffigurata con la lira. Accanto ha un amorino con arco e frecce. Speriamo che stavolta tiri giusto e faccia innamorare di me una splendida fanciulla.

Entrano Orlando, Rinaldo, Alda e Clarice.

Peppininu:
Prego, amici miei. Vi ho invitati ad un recital di poesie che ho tradotto per voi in siciliano. Spero apprezzerete il mio sforzo e il mio lavoro. Voglio cominciare con un bel sonetto sulla vera amicizia e sull’amore. Non voglio essere, infatti, solamente il vostro scudiero, ma anche un amico. Vorrei condividere con voi oltre all’amicizia anche la compagnia delle belle dame che a voi non mancano.

Orlando (ridendo):
Sentiamo questo sonetto, scudiero.

Rinaldo (ridendo):
Ascoltiamo questo sonetto, stalliere.

Peppininu:
E’ la traduzione in siciliano di una poesia in volgare di un grande poeta italiano, Dante Alighieri.

Orlando:
Poesia volgare? Se farai arrossire le nostre dame ti passerò a fil di spada.

Peppininu (iniziando a recitare):
Orlannu, jù vulissi ca tu e Rinardu e jù
fussumu pigghiati ppi ‘ncantamentu,
e misi intra ‘n vascellu ca a ogni ventu
ppi mari jissi ppi vuliri vostru e miu;
sicchè, furtuna o cattivu tempu
nun cci putissi dari ’mpidimentu,
anzi, vivennu sempri cu sta vuluntà,
ri stari ‘nsemi criscissi ‘u disiu.
E doppu vulissi ca Ronna Alda e Ronna Clarici
e chidda ca è a lu numiru trenta fra li sissanta cchiù beddi fimmini ri Parigi,
cu nuatri mittissi ‘u bonu ‘ncantaturi:
e supra lu vascellu ragiunari sempri d’amuri,
e vulissi ca ognuna ri iddi fussi cuntenta,
comu jù criru ca sarremu nuatri.

Peppininu guarda interrogativamente Orlando e Rinaldo e si aspetta un plauso da Alda e Clarice. Ma nessuno gli batte le mani.

Peppininu:
Ho finito. E’ un vero pezzo di bravura. Mi aspettavo che batteste le mani. A te Alda e a te Clarice non è piaciuta?

Orlando:
E perché dovremmo prendere te a bordo di questo vascello incantato? Io e Rinaldo abbiamo già le più belle dame di Parigi. A te è toccata la trentesima, chissà com’è brutta. (Ridendo) Donne brutte non salgono a bordo con noi.

Rinaldo:
Le più belle donne di Parigi le abbiamo noi.

Orlando esce con Alda, Rinaldo con Clarice.
Peppininu resta solo e sconsolato. In un gesto di stizza butta a terra il leggio.

Peppininu:
Non hanno apprezzato il mio sforzo poetico. ‘U sapiti chi vi dicu? Dintra ‘u vascellu ‘ncantatu nun vi ci fazzu acchianari a vuatri, ronni schizzinusi e cavaleri arruganti. E ppi nun sbagghiari ‘nveci ca ‘na sula fimmina, li fazzu acchianari tutti e trenta. Anzi, tutti e sissanta. E cu vascellu vaju unni mi pari.

Chiusura sipario.

Apertura sipario. Scena seconda.
Stesso fondale della scena precedente.
Al centro del palcoscenico Peppininu davanti ad un leggio.

Peppininu:
Ho altre poesie in serbo. E ci sono tante altre dame. Questa è la poesia di un grande poeta russo, Aleksander Blok. S’intitola “Io sono Amleto”. Jù sugnu Amletu, in dialetto siciliano. Ve la recito.
Jù sugnu Amletu.
Si raggila lu sangu,
quannu ‘a spirtizza ‘ntriccia li so’ riti,
mentri dintra lu cori lu primu amuri è vivu,
vivu ppi la sula criatura di lu munnu.
Lu friddu di la vita m’ ha purtatu, Ofelia mia,
luntanu, e jù moru principi,
nni la cuntrada natia,
trafittu da ‘na lama avvilinata.

Entra Carmela, la moglie di Peppininu.

Carmela:
Ofelia, Ofelia, cu è sta Ofelia? Sdisanestu, ora ti mittisti a perdiri tempu ca puisia? Vattinni a travagghiari ca nun c’è nenti ppi manciari. Tu dugnu jù ‘u vilenu, ma a litri, miscatu ni lu vinu di lu ciascu.

Peppininu scappa inseguito da Carmela.

Chiusura sipario.

Apertura sipario. Scena terza.
Stesso fondale della scena precedente.
Al centro del palcoscenico Peppininu davanti ad un leggio.

Peppininu:
Ho sbagliato con le poesie di Dante e Blok. Voglio fare un altro tentativo. Adesso voglio provare con i versi delicati e musicali di Guido Cavalcanti. Questo è il posto giusto. Da qui passano le più belle fanciulle del paese, dopo essere state a messa.

Peppininu (cominciando a recitare):
Ccu è chista ca veni, ca ogni omu l’ammira,
ca fa trimari l’aria cu lu so’ splinnuri,
e porta cu idda l’amuri,
tantu ca nuddu omu arrinesci cchiù a parrari
ma tutti si mettunu a suspirari?

Entra una fanciulla e si avvicina a Peppininu.

Peppininu:
Lo sapevo. Eccone una. Ccu è chista ca veni?

La fanciulla:
Che bei versi, che grande poeta.

Peppininu la guarda con attenzione.

Peppininu:
Scappu, è cchiù laria di la morti.

Peppininu scappa inseguito dalla fanciulla.

Chiusura sipario.

Apertura sipario. Scena quarta.
Stesso fondale della scena precedente.
Al centro del palcoscenico Peppininu davanti ad un leggio.

Peppininu:
Forse ho sbagliato con le poesie d’amore. Forse, per attirare le donne, basta dimostrare forza e ardimento da guerriero. Oppure rievocare con i versi i grandi duelli della storia, Achille, Ettore …

Entra il soldato Calonda.

Calonda:
Ho saputo che un grande poeta sta facendo un recital poetico su questo palcoscenico.

Peppininu:
Sì, in effetti ... Anche voi siete un poeta?

Calonda:
Ahimè, magari non fosse mai esistito un solo poeta … Io ho la disgrazia di averne ucciso uno.

Peppininu:
Avete ucciso un poeta? Un duello per amore di una fanciulla?

Calonda:
Magari fosse stato così. La gente mi avrebbe perdonato. Io sono Calonda di Nasso.

Peppininu:
Non ho mai sentito il vostro nome. Siete un poeta minore? Un poeta emergente? Un poeta esordiente?

Calonda:
Solo pochi conoscono il mio nome. Se ti dicessi di essere colui che uccise il grande poeta Archiloco?

Peppininu:
Vile, miserabile.

Calonda:
Visto? La gente mi ricorda solo per calunniarmi. Ma che cosa ho fatto? Perché tutte queste maledizioni sul mio nome? Ho sconfitto Archiloco in un combattimento, durante la guerra tra le nostre Patrie, Paro e Nasso. Archiloco era un soldato e un soldato ero anch’io. Il combattimento fu leale. Fui più forte e più bravo di lui. Ma lui, lo sconfitto, è diventato un grande eroe. Io, il vincitore, un maledetto. Non fu così tra Achille ed Ettore, fra Ercole e Anteo, fra Enea e Turno. Non era una gara di poesia, la nostra. E non lo ha scritto forse lui stesso? “Tuttu dipenni ri li dei”. Sono gli dei che hanno voluto la mia vittoria. Nessuno poteva opporsi a questo volere. Perché calunniarmi, allora? Nun c’è cosa ca l’omu nun po’ aspittarisi. Scrisse anche questo Archiloco, ma nessuno capisce. Sei tu capace di scrivere una bella ode per celebrare il mio nome e riabilitarmi?

Peppininu:
Ehm …

Calonda:
Non sei forse un poeta? Anche tu vuoi farti beffe di me? Vuoi forse assaggiare la lama della mia spada?

Peppininu scappa inseguito da Calonda.

Chiusura sipario.

Apertura sipario. Scena quinta.
Stesso fondale della scena precedente.
Peppininu al centro del palcoscenico davanti ad un leggio.

Peppininu:
Cosa fa innamorare una donna, per me, rappresenta un mistero. Cosa devo fare per conquistarne una? Non so più che cosa fare.

Entra un amico di Peppininu.

L’amico di Peppininu:
Ehi, Pep, ti sei scordato che abbiamo un’importante partita di calcio al campetto? Oggi si assegna il campionato.

Peppininu:
No, certo, non l'ho dimenticato. Magari segno un grande gol … Una splendida fanciulla potrebbe notarmi e … Vegnu a jucari.

Peppininu lascia il leggio e segue l’amico. Entrambi escono.

Chiusura sipario.

SECONDO ATTO


Apertura sipario. Scena prima.
Fondale: una biblioteca piena di scaffali e libri.
Al centro del palcoscenico Carmela davanti ad un leggio.

Carmela:
Molte di voi, donne in sala, avrete certamente desiderato, o solamente sognato, di mettere la bella e lucente corazza di un paladino, prendere le sue armi, tagliare qualche testa, atteggiarsi a cavaliere, cercando di afferrare, e di trattenere, anche solo per pochi attimi, la sua visione della vita. Ah, che cosa complicata la visione della vita di un uomo. Sarebbe magnifico potersene impossessare. Un giorno lo voglio fare, mi metterò una bella corazza, salirò su un bel destriero e sfiderò i paladini. Calata la visiera nessuno mi riconoscerà. Sarò un loro pari. (Carmela agita il braccio come se impugnasse una spada e mima dei combattimenti). Un colpo di spada e Orlando è a terra, un altro colpo e anche Rinaldo ruzzola a terra. Il terzo è Astolfo. Un trionfo. (Ritorna al leggio e incomincia a leggere). Ahimè, Diu miu, pirchì nun mi hai fattu nasciri masculu?
Tutti li me’ abilità li avirria misi a lu to’sirviziu.
Senza sbagghiari cchiù nenti.
E sarria pirfetta in tuttu, comu li omini riciunu ri essiri.
Bella, vero? E’ di una donna, una scrittrice veneto-francese del 1400, Christine de Pisan. Se il mondo è interamente degli uomini, come loro sostengono e pretendono, lei è la sola donna che sia riuscita a strapparne un pezzetto. Grazie a lei abbiamo almeno una piccola città tutta per noi, la “città delle dame”. Una città ideale, peccato sia rimasto solamente un sogno letterario. Ah, la presunta perfezione degli uomini … Ma, poi, che cosa hanno in testa?

Dall’esterno del palcoscenico arriva un grande urlo di gioia:
Goooool.

Carmela:
Ecco cosa hanno in testa. Il gioco del pallone.

Si affaccia sul palcoscenico Angelica.

Angelica:
Carmela, tuo marito ha segnato un grandissimo gol. Non vieni a vedere la partita?

Angelica esce.

Carmela:
Non ha il nasino all’insù come molte parigine, viene da una terra lontana e straniera. Ma è cu li capiddi d’oru e ha vestiti di seta del Catai ca quannu camina sona. Si crede la più bella di Parigi. Ah, mi la mangiassi a muzzucuni. Ma riprendiamo il nostro discorso. Si parlava degli uomini e del loro modo di vedere le cose. Da bambina, quando frequentavo la seconda elementare, mi ricordo di un cartello appeso su un muro dell’aula. I disegni del cartello raccontavano l’evoluzione umana. Come sapete, l’evoluzione procede a gradi, in maniera lineare, prima la scimmia sull’albero, poi l’Australopithecus appena appena ingobbito, (Carmela imita le movenze di una scimmia, poi di un animale con la gobba che cammina malfermo, poi di un animale che si erge fino ad alzarsi dritto sulle gambe) poi finalmente l’uomo Erectus, l’uomo si alza sulle gambe, si erge spavaldo e arrogante. Poi il Neanderthal, mamma che brutto, poi il Cro-Magnon, e finalmente l’uomo Sapiens … (a voce più alta) me’ maritu, Peppininu. (con tono di nuovo normale) L’uomo Sapiens, dicevamo. E la donna? Non c’è nessuna tabella evolutiva per la donna. E che, mentre l’uomo è Sapiens, la donna cammina ancora strisciando oppure a quattru peri in mezzo alla boscaglia? Nun c’è ‘a fimmina Erectas, a fimmina Sapiens. Ma cu l’ha vista mai!

Sul palcoscenico si affaccia Clarice.

Clarice:
Carmela, tuo marito ha segnato un fantastico gol. Stiamo vincendo. Non vieni a vedere la partita?

Clarice esce.

Carmela:
Macari sciancatu ma havi a jucari. Contru ‘u jocu di lu palluni nun c’è nenti chi fari.
Ma ritorniamo al discorso di prima. E sapete cosa accadde, veramente, nel Paradiso Terrestre? La donna chiese all’uomo: “Tu ca si’ l’omu Erectus, l’omu Sapiens, tu ca si’ accussì autu, e di granni ingegnu, a pigghi tu ‘na mela ca ju, a quattru peri, nun c’arrivu?”. Il grande uomo mugugna. Mugugni che vogliono dire: “Certo io sono l’uomo Erectus, l’uomo Sapiens, l’uomo ingegnoso. Ecco, applico la mia intelligenza. Strappo la mela dall’albero e te ne faccio un grazioso dono”. Sappiamo benissimo quello che accadde in seguito per questa grande applicazione dell’intelligenza. Ancora oggi ne piangiamo le conseguenze.
Ma continuiamo con la poesia.
Arriurdati ri mia quannu sarrò juta luntanu,
nni la terra di lu silenziu.
Ppi manu nun mi putrai cchiù tiniri,
e jù, lu to’ salutu nun avirrò cchiù la pussibilità ri cuntracambiari.
Arriurdati ri mia macari quannu, jornu doppu jornu, nun mi putrai cchiù diri li cosi ca t’ ‘nsunnavi.
Arriorda e basta, pirchì a mia, tu lu sai, nudda parola e prijera mi po’ cchiù arruvari.
Ma si ‘n pocu m’avissi a scurdari e doppu riurdari, nun ti affliggiri
pirchì si tenebri e ruina lassanu tracci di li me’ pinseri di lu passatu,
megghiu ppi tia surridiri e scurdari, ca da lu riordu essiri turmintatu.
Superba, vero? E’ di una grande scrittrice inglese ma di origini italiane, Christine Rossetti.

Dall’esterno del palcoscenico arriva un altro urlo:
Gooooool.

Carmela:
L’apoteosi. Ma li avete visti? Segnano un gol e poi fanno capriole, giravolte, sembra che abbiano fatto un capolavoro. E noi donne in cucina, allora? Dopo aver saltato la frittata ri scocci di patati e averla ripresa brillantemente al volo, dovrei esultare anch’io, fare capriole sul tavolo, ballare con la scopa!

Entra Peppininu tutto contento.

Peppininu:
Abbiamo vinto.

Entra una giornalista e si avvicina a Peppininu.

La giornalista:
Peppininu, come hai fatto a vincere la partita? Che modulo hai usato, 4-4-2. 4-3-2-1?

Peppininu:
10.

La giornalista:
10? e che modulo è?

Peppininu:
Un modulo molto aggressivo. Eravamo sul due a due a tre minuti dal termine della partita. Se l’Associazione calcistica San Gregorio voleva vincere il campionato dell’isola doveva necessariamente segnare un altro gol. Allora ho pensato agli antichi Romani. (Con fierezza) Studio, infatti, per avere l’ammissione alla seconda elementare. Mi sono ricordato del metodo di battaglia Romano, la testuggine. Ho preso la palla e i miei compagni di squadra mi hanno affiancato, attorniato, proteggendomi nella corsa. Abbiamo formato una vera formidabile testuggine in campo. In questa maniera siamo arrivati davanti alla porta avversaria. La testuggine, allora, si è aperta, io sono sbucato fuori a sorpresa ed ho insaccato un bellissimo gol. Abbiamo vinto il campionato. Io credo che molte squadre, adesso, imiteranno questo mio modulo di gioco.

La giornalista:
Grazie per l’intervista. La manderemo in onda stasera sul canale San Gregorio news.

La giornalista esce.

Carmela:
E bravo, invece di studiare ti metti a giocare. Ho portato i fogli dei possibili quiz che ti faranno per l’ammissione alla seconda elementare. Hai studiato?

Peppininu:
Sì, certo.

Carmela:
Naturalmente, tra una partita e l’altra. Vediamo. Cominciamo con una semplice domanda. Chi è stato il primo uomo sulla Luna?

Peppininu:
Facile: il paladino Astolfo che andò sulla Luna per cercare il senno del paladino Orlando. Anno: circa il 775 d. C. Mezzo di locomozione: il carro di Elia. Il secondo uomo è stato il barone di Munchausen nel 1781. Mezzo di locomozione: una palla di cannone. Quando sbarcò sulla Luna vide il cratere che la palla di cannone aveva formato e lo paragonò con gli altri crateri esistenti. Immaginò la Luna già colonizzata da eserciti nemici. Nel 1901 furono addirittura in due, lo scrittore Bedford e lo scienziato Cavor. Mezzo di locomozione: navetta ad annullamento della gravità. La loro storia è raccontata nel libro dell’inglese H. G. Wells I primi uomini sulla Luna. Non tutti sanno che il tentativo dei tre protagonisti di Dalla Terra alla Luna di Giulio Verne, del 1865 non riuscì. Barbicane, Ardan e Nicholl non sbarcarono mai sulla Luna né la loro capsula le fece un occhio nero, come è raffigurato in alcuni disegni. Dopo questi pionieri dobbiamo aspettare il 1969 quando gli americani …

Carmela:
Basta, passiamo a qualcosa di più difficile. Devi portare il pensiero di un filosofo.

Peppininu:
Scelgo il greco Parmenide. Facile da ricordare la sua massima "l’essere è, e non può non essere", e non “essere o non essere” come diceva quel principe danese in calzamaglia nera e con una crozza nella mano. Altre massime di Parmenide: il positivo è buono, il negativo è cattivo. La leggerezza è positiva la pesantezza cattiva, il leggero è buono, il pesante è cattivo perché ti resta sullo stomaco anche se con questa fame …

Carmela:
Sempri a manciari pensi. Passiamo alla geometria. Il teorema di Pitagora.

Peppininu:
Il quadrato costruito tra capo Lilibeo e capo Peloro è equivalente alla somma dei quadrati costruiti tra capo Passero e capo Peloro e tra capo Passero e Lilibeo. Risulta sempre.

Carmela:
Bravo, lo hai personalizzato.

Peppininu:
Su consiglio di Carmiluzzu:
‘A Sicilia li dei l’hannu pigghiata da lu funnu di lu mari,

e l’hannu modellata a furma triangulari.

Carmela:
Passiamo alla Geografia. Gli abitanti di Bergamo.

Peppininu:
Atalantini.

Carmela:
Davvero? E quelli di Ferrara?

Peppininu:
Spallini.

Carmela:
Sceccu! E quelli di Milano?

Peppininu:
Metà si chiamano Interisti e l’altra metà Milanisti.

Carmela:
Quelli di Torino?

Peppininu:
I giovani si chiamano Juventini, gli anziani Torinisti.

Carmela:
Due in Geografia.

Peppininu:
Ma perché?

Carmela:
Perché sei ignorante. Recita l’inno di Mameli.

Peppininu:
Tutto non lo so. Però ti posso dire che una volta l’inno conteneva una dedica alle donne che, chissà perché, venne in seguito eliminata. Eccola:
Tessete o fanciulle
bandiere e coccarde
fan l’alme gagliarde
l’invito d’amor.

Carmela:
Che tristezza, anche l’inno di Mameli è maschilista.

Peppininu:
Dell’inno a me piace quella strofa che parla della Sicilia:
Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman pupiddi (2), Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.

Entra Clarice.

Clarice:
Peppininu, sul canale San Gregorio news stanno trasmettendo il filmato della partita e la tua intervista. Non vieni a vedere?

Peppininu:
Certu ca vegnu. Vegnu di cursa.

Peppininu e Carmela escono assieme a Clarice.

Chiusura sipario.

Apertura sipario. Scena seconda.
Stesso fondale della scena precedente.
Al centro del palcoscenico Clarice e Alda davanti a due leggii.

Clarice:
Anche noi, belle dame, ci vogliamo cimentare nella lettura di una bellissima poesia di una grande poetessa inglese, Elizabeth Browning. Io e Alda ci alterneremo nella recitazione. La poesia s’intitola In quanti modi ti amo? Che in siciliano diventa Na quanti maneri ti amu? Comincia tu, Alda.

Alda:
Na quanti maneri ti amu? Fammilli cuntari.
Ti amu finu a la profundità, finu a la larghizza,
finu all’altizza ca ‘a me’ arma arrinesci a raggiungiri,
quannu participa ’nvisibili a li scopi ri la Esistenza e ri la Grazia idiali.

Clarice:
Ti amu comu la cchiù povira nicissità ri ogni jornu,
a lu Suli e a lu lumi ri cannila.

Alda:
Ti amu ccu ginirusità, comu chiddu ca si batti ppi la Giustizia.
Ti amu cu purità comu chiddu ca si vota ri la Prijera.

Clarice:
Ti amu ccu la passioni ca jittavu
ni li me’ passati duluri, e cu la firucia ri la me’ ‘nfanzia.

Alda:
Ti amu ri ‘n amuri ca crideva pirdutu
‘nsemi a li me’ pirduti Santi.

Clarice:
Ti amu cu lu rispiru,
li lagrimi, li sorrisi ri tutta ‘a me’ vita!

Alda:
E, si Diu vurrà,
ti amerò ancora cchiossai doppu la morti.

Alda e Clarice s’inchinano al pubblico ed escono.

Chiusura sipario.

Apertura sipario. Scena terza.
Stesso fondale della scena precedente.
Al centro del palcoscenico Carmiluzzu davanti ad un leggio.

Carmiluzzu:
La fine poesia che vi voglio recitare è di Arthur Rimbaud, il grande poeta francese e s’intitola “Ma bohème”, La mia bohème. In siciliano ho tradotto come “ ’A me’ fami”.
Mi nni jeva cu li pugna ni li sacchetti spunnati;
Pirfinu ‘u me’ cappottu addivintava idiali;
Mi nni jeva sutta ‘u celu, oh Musa! a tia fidili;
Oh! Quanti amuri sublimi m’haju ‘nsunnatu.
Lu me’ unicu paru ri causi
avia ‘n largu purtusu.
Caminannu eru comu Pollicinu ‘ncantatu,
na me’ cursa spargevu Puisia.
‘A me’ lucanna era supra l’ Orsa Maggiuri.
Ni lu celu ‘i me’ stiddi facevunu ‘n duci frusciu.
Li ascutavu, assittatu ne’ lati di li stradi.
Ni ddi beddi siri di settembri quannu
li gocci di acquazzina supra ‘a frunti, eranu comu vinu vigurusu;
Oppuri, facevu Puisia ammenzu a l’ombri fantastici ri la notti,
tiravu l’alastici di li me’ scarpi rutti comu li cordi di ‘na Lira,
‘nperi vicinu a lu cori!
Straordinaria, vero? L’ ho tradotta da ragazzo e da allora non l’ho mai ritoccata.
Da ragazzo sognavo di aiutare i personaggi dei romanzi. Volevo aiutare Simone (3) a trovare una fidanzata, volevo impedire che Kirylo Sidorovitch Razumov (4) denunciasse Haldin rovinando la propria vita; volevo impedire che Lafcadio Wluiki (5) commettesse un omicidio. Sogni di ragazzo imbevuto di mille letture. Fantasie adolescenziali. Pensavo anche di scrivere un romanzo nel quale il protagonista avesse la possibilità, come un viaggiatore del tempo, di viaggiare attraverso la letteratura, di compiere veramente queste azioni di salvataggio. E forse mi sarei potuto spingere oltre, oltrepassare barriere fisiche e confini mentali, spazio e tempo. Spingersi oltre, per impedire l’inarrestabile e terribile cancrena che colpì Rimbaud alla gamba e che lo portò alla morte. Per evitare che la veloce pallottola della pistola di D’Anthes colpisse mortalmente il grande Poeta Puskin.
Con l’aiuto di Orlando e Rinaldo vi voglio proporre alcune rievocazioni di celebri duelli. Ma i due paladini tardano a salire sul palcoscenico. Vado a chiamarli.

Carmiluzzu esce.

Chiusura sipario.

Apertura sipario. Scena quarta.
Stesso fondale della scena precedente.
Al centro del palcoscenico Orlando e Rinaldo davanti a due leggii.

Orlando:
Chi non ha mai copiato una bella poesia d’amore per donarla all’amata, per cercare di conquistarla? Io e mio cugino Rinaldo siamo dei grandi esperti di dame e di galanterie. E anche d’onore cavalleresco. Sono forse più i duelli per salvare l’onore di una dama che i combattimenti che ho sostenuto. Non m’intendo molto di poesia ma sono esperto in amore. Ed espertissimo nei duelli. E quindi vi parlerò di grandi amori e grandi duelli.

Rinaldo:
Per una volta non duelleremo, mio caro cugino, contro i saraceni o contro noi stessi. Ricordi ancora quel lungo duello durato sette giorni? (6)

Orlando:
Chi meglio di noi due potrebbe rievocare e rappresentare i duelli della storia, della mitologia, della letteratura? Il gentile pubblico sarà estasiato. Alla fine della rappresentazione molte di queste fanciulle in sala sentiranno un irresistibile desiderio di applaudire, di lanciare dei fiori, di salire sul palco, per congratularsi, per innamorarsi di noi. Faremo tante nuove conquiste.

Rinaldo: (lamentandosi):
E scommetto che nei duelli mi darai la parte dello sfortunato di turno, non è vero? Quante volte dovrò morire, stasera?

Orlando:
Non trovo le pagine del copione con i duelli di Paride e Menelao, Achille ed Ettore, Enea e Turno, Amleto e Laerte. Devo averli lasciati in camerino. Passiamo al Cyrano di Bergerac di Edmond Rostand. Si trovano di fronte il visconte Valvert e Cyrano.

Rinaldo:
E chiaramente tu farai Cyrano, il cadetto di Guascogna, il valente spadaccino.

Orlando:
E Poeta! La prima battuta è la tua.

Valvert (Rinaldo):
Il vostro naso è grande e grosso come la cima dei Pirinei!

Cyrano (Orlando):
Ah, voi mi offendete, anzi, offendete il mio naso.

Orlando e Rinaldo lasciano i leggii e si fronteggiano al centro del palcoscenico.

Orlando (Cyrano):
Eccu, jù jettu cu gestu eleganti lu cappeddu, doppu cu comudu mi levu lu granni mantellu, e lu spatuni jù nesciu. Lianti comu Celaduni (7), cchiù agili di Scaramuzza (8) a lu jocu di lu stoccu, vi avvertu, me’ caru mirmiduni (9), ca giustu a la finuta ri la licenza, jù toccu.

Orlando e Rinaldo combattono per un poco.

Alla fine del duello Orlando tocca Rinaldo con la spada. Ma Rinaldo non cade a terra.

Orlando (sottovoce a Rinaldo):
Accusa il tocco. Devi cadere a terra.

Rinaldo (lamentandosi):
Ho potuto dire una sola battuta. (A voce alta). Sì, lo ammetto sono stato toccato. Ma solo leggermente, di striscio, non c’è bisogno che mi rotoli a terra.

Orlando:
Visto che non rispetti il copione, anch’io la prossima volta farò di mia iniziativa e ti farò una grande e bella O sul corpetto, la O di Orlando. Così tutti sapranno chi ti ha toccato.

Chiusura sipario.

Apertura sipario. Scena quinta.
Stesso fondale della scena precedente.
Ad un lato del palcoscenico Carmiluzzu davanti ad un leggio. Al centro del palcoscenico Orlando e Rinaldo.

Carmiluzzu:
Grazie di essere venuti e di aiutarmi in queste ricostruzioni. Siete pronti a deporre scudi e spade e a misurarvi con le pistole?
Cominciamo con Balzac e il suo celebre romanzo La pelle di zigrino. Altri duelli, di Casanova, (10) di De Maistre (11) e di Cechov (12) li proporremo in un prossimo spettacolo.
Nella pelle di zigrino, un giovane poeta, Raphael de Valentin, ormai ridotto alla disperazione, pensa di suicidarsi. Inaspettatamente viene in possesso di un talismano, la pelle di uno zigrino. Il talismano esaudisce ogni suo desiderio. Però, ad ogni desiderio esaudito, la pelle di zigrino si restringe, accorciando la vita stessa di Valentin. Più il poeta desidera, più la pelle si accorcia. Più il talismano obbedisce al desiderio del suo padrone, più il poeta si avvicina alla morte. Nella scena del duello, tu Orlando farai la parte di Valentin e tu, Rinaldo, quella del suo avversario.

Rinaldo:
Non conosco il romanzo. Speriamo in qualche buona battuta. (sottovoce a Orlando): Adesso mi rifaccio, cugino caro. Quando un paladino con la pistola incontra un paladino con la spada …

Orlando (sottovoce a Rinaldo):
Avremo entrambi la pistola. Non crederai d’avvantaggiarti ...

Carmiluzzu:
Cominciamo.

Valentin (Orlando) (parlando al suo rivale):
Aviti ancora tempu a darimi ‘na minuscula sodisfazioni. Si nun vuliti moriri. Allura, signuri, vogghiu essiri ginirusu, vi avvisu subbitu: jù sugnu superiuri. Jù haju ‘n putiri terribili. Ppi farivi moriri m’abbasta sulamenti vulirlu. Ma nun vogghiu usari lu me’ putiri, mi costa troppu. Si nun mi prisintati li vostri scusa, ‘u vostru pruiettili finirà ntà l'acqua di sta cascata e ‘u me’ finirà drittu ni lu vostru cori senza ca jù pigghiu ’a mira.

L’avversario di Valentin (Rinaldo):
Nun vi dugnu nudda sodisfazioni. Pigghiamu li pistoli.

Orlando (Valentin) e Rinaldo (il suo avversario) si mettono di spalle e fanno alcuni passi. Poi si voltano.

L’avversario di Valentin (Rinaldo) (stende il braccio verso l’avversario, prende la mira):
PUM!

Valentin (Orlando):
‘U vostru pruiettili è cascatu ntà l’acqua. Ora tocca a mia! (Stende il braccio verso il pubblico e spara): PUM.

Rinaldo (l’avversario di Valentin) cade a terra morto.

Carmiluzzu:
Anche se è il suo avversario a cadere è il Poeta a morire. Il duello gli è costato moltissimo. La pelle di zigrino è ormai ridotta a pochi centimetri.

Orlando:
Puoi alzarti, cugino, il duello è finito.

Rinaldo:
Non mi sono divertito.

Carmiluzzu:
Passiamo all’Eugenio Onegin del mio amato Puskin.
Orlando, tu farai Onegin e tu, Rinaldo, interpreterai il Poeta Lenskij.

Rinaldo:
Un altro poeta, un’altra morte. E ad essere colpito, scommetto, sarò io di nuovo.

Carmiluzzu:
Ccu passu fermu, tranquillu, rigulari, avanzunu di quattru passi li nimici.

Orlando e Rinaldo avanzano l’uno contro l’altro.

Carmiluzzu:
Quattru passi versu ‘a morti. Eugeniu, mentri camina, isa ‘a manu ccu la pistola.

Orlando alza la mano destra con la pistola.

Carmiluzzu:
Cincu passi fannu ancora, E macari Lenskij chiuri l’occhiu e pigghia ‘a mira.

Orlando e Rinaldo fanno ancora un passo. Rinaldo alza il braccio con la pistola prendendo la mira.

Carmiluzzu:
Ma è n’ attimu e Onegin spara …

Orlando:
PUM!

Carmiluzzu:
E’ sunata la fatali ura: ‘u pueta, ‘n silenziu, lassa cascari ‘a pistola, l’autra manu porta lentamenti a lu pettu, e sciddica ‘n’terra.

Rinaldo (colpito, porta la mano sul cuore e poi scivola a terra. Grida):
Ah!

Carmiluzzu:
Accussì casca di lu munti, brillannu sutta ‘u suli, ‘n bloccu ri nivi.
Che pena la morte di un Poeta. E che vile il suo uccisore. Uccidere un poeta … che grave colpa.

Orlando, Rinaldo, Carmiluzzu escono.

Chiusura sipario.

Apertura sipario. Scena sesta.
Stesso fondale della scena precedente.
Al centro del palcoscenico la giornalista televisiva.

La giornalista:
Niente paura, non ho intenzione di leggere nessuna poesia. Semmai potrei allietarvi con un pezzo di cronaca.
Lasciamo stare, scherzavo. Voglio fare solamente un intervento, un commento.
Bello questo recital, vero? L’autore mi ha detto di averne altri in preparazione. Gli elementi sono semplici: un poco di cultura, qualche risata, e la nostra bella e ricca lingua siciliana. C’è tutto per passare una piacevole e serena serata. E chissà che non si possa scoprire, in sala, in mezzo a voi, un nuovo poeta dialettale.
Seguendo anche gli altri recital saprete se Peppininu riuscirà a superare l’esame di ammissione alla seconda elementare. Non siete curiosi?
Voglio proporre il recital a Linea2, la stazione televisiva di San Gregorio. La prima stazione televisiva siciliana che inizia e finisce le trasmissioni con la poesia “L’isola dei Poeti” di Giovanni Pascoli, tradotta in dialetto siciliano. E’ un bellissimo omaggio alla Sicilia fatto dal grande Poeta romagnolo.
Non conoscete questa poesia? Un vero peccato. Ve la voglio recitare.
(La giornalista fa una breve pausa, poi riprende). La regia mi segnala che, purtroppo, non c’è il tempo, dobbiamo passare alla pubblicità.

La giornalista esce.

Chiusura sipario.

Apertura sipario. Scena settima. Stesso fondale della scena precedente.
Sul palcoscenico, allineati, ci sono Peppininu, Carmela, Orlando, Rinaldo, Alda, Clarice, Carmiluzzu e Angelica.

Carmiluzzu:
Giovanni Pascoli ha forse scritto il più bell’omaggio alla Sicilia: una poesia dal titolo “L’isola dei Poeti”. Mai titolo fu più preciso e raffinato, Stasera, a conclusione di questo recital poetico, tutti insieme ne reciteremo una parte importante. Per l’amore della nostra Patria, la Sicilia.

Peppininu:
Ri frunti

Carmela:
a mia eri Sicilia, o nuvula di rosa

Orlando:
spuntata di lu mari! E ni l’azzurru ‘n munti:

Rinaldo:
l’Etna china ri nivi.

Alda:
Ti salutu, o Sicilia! A ogni sciusciuni ri ventu

Clarice:
vibra ‘na cetra o si inchi ‘na sampugna

Carmiluzzu:
e canta e passa ... Jù arruvai unni

Angelica:
arriva cu sogna.

Peppininu, Carmela, Orlando, Rinaldo, Alda, Clarice, Carmiluzzu e Angelica s’inchinano al pubblico e poi escono.

Entra la giornalista.

La giornalista:
E facciamo suonare ancora queste cetre, facciamo soffiare questo vento, facciamo gonfiare nuovamente sti nostri sampugni. Tra di voi, rispettabile pubblico, c’è forse un nuovo Poeta dialettale?

La giornalista esce.

Chiusura sipario.



FINE


1) Carmiluzzu, amico e collaboratore di Peppininu, è un nuovo pupo creato dall’autore. Veste abiti dell’Ottocento, porta il cappello a cilindro e (ahimè) il bastone. E’ lui a tradurre le poesie che poi passa amichevolmente a Peppininu. E’ lui a curare la biblioteca di Peppininu. (Si veda anche lo spettacolo “Da Catania a Parigi, le tappe del viaggio di Peppininu (Arrancando sopra una gamba sola per tutta la penisola).
2) Balilla è qui diventato pupiddi.
3) Il protagonista di Simon, le patétique (Simone il patetico) di Jean Giraudoux.
4) Il protagonista di Under Western Eyes (Sotto gli occhi dell’Occidente) di Joseph Conrad.
5) Il protagonista di Les caves du Vatican (I sotterranei del Vaticano) di André Gide.
6) Il lungo duello tra Orlando e Rinaldo descritto nello spettacolo “DA CATANIA A PARIGI, LE TAPPE DEL VIAGGIO DI PEPPININU (Arrancando sopra una gamba sola per tutta la penisola)”, 2012.
7) Celadon. Dal dramma pastorale seicentesco L’Astrea di Honoré d’Urfé.
8) Scaramuccia è una famosa maschera della commedia dell’arte, inventata a Napoli. Si è preferito lasciare l’antico (e bello) nome in napoletano.
9) I Mirmidoni erano un antico popolo greco nato, secondo la leggenda, dalle formiche. Achille era il loro re.
10) Giacomo Casanova, Il duello.
11) Xavier de Maistre, Voyage autour de ma chambre. 12) Anton Cechov, Il duello.


[Tratto da “Nuovo repertorio per l’opera dei pupi” – Vol. 2 – Youcanprint, 2013]
Copyright 2013-2014 Carmelo Coco.
[Ogni tipo di riproduzione del testo è rigorosamente vietata].
    
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